Bielorussia: il bastone e la carota nei confronti delle Chiese

Bielorussia: il bastone e la carota nei confronti delle Chiese

Lo chiamano «approccio moderno» il nuovo emendamento alla legge sulle organizzazioni religiose che rispecchia la vecchia diffidenza sovietica nei confronti delle Chiese. In un crescente clima intimidatorio nei confronti di pastori e fedeli considerati «estremisti». È il castellotto di Lukašenko, la scimmia anzi lo scimpanzé di Vova.

Dopo le manifestazioni dell’estate del 2020 duramente represse dalla polizia, scatenate dalle elezioni-farsa che hanno confermato alla guida del paese Lukašenko, anche le Chiese hanno fatto sentire la loro voce. Le autorità statali sono rimaste così spiazzate dall’inattesa attività «sociale» dei credenti, di alcuni sacerdoti e persino di singoli rappresentanti dell’episcopato che hanno poi pagato di persona i loro gesti «estremisti»: come l’esarca ortodosso Pavel, sostituito da Veniamin (Tupeko) dopo aver condannato la violenza delle forze dell’ordine ed essersi recato a visitare alcune vittime in ospedale, e l’arcivescovo cattolico Stanevskij che ha preso il posto di monsignor Kondrusiewicz che il 19 agosto si era recato a pregare sotto le mura del carcere di Okrestin a Minsk, e al quale poi era stato addirittura vietato di rientrare in patria.
E come non ricordare l’inaudito episodio del 26 agosto di quell’anno, quando gli OMON bloccarono l’accesso alla «chiesa rossa» a Minsk che poteva offrire rifugio ai manifestanti, impedendo contemporaneamente ai fedeli di uscire?

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