Così la “teologia politica” di Putin stravolge l’identità russa

Così la “teologia politica” di Putin stravolge l’identità russa

È la scomparsa della Russia con vocazione universalista, legata alla tradizione cristiana e alle origini europee, a preoccupare Adriano Dell’Asta nel suo saggio La “Pace russa”. La teologia politica di Putin (Morcelliana, 2023). Prima ancora di voler offrire un valutazione “politica“, infatti, questo testo presenta le infauste conseguenze di quell’ideologia del “Mondo russo” (Russkij mir) che sta svolgendo un ruolo essenziale nel conflitto russo-ucraino.
Il “Mondo russo” secondo la concezione attuale del Cremlino sarebbe una sorta di Commonwealth che ingloba non solo persone di etnia o cittadinanza russa sparse per il globo, ma «tutti coloro che si interessano sinceramente della Russia e che si preoccupano del suo futuro» – un «progetto globale» ufficialmente integrato nella strategia di politica estera e che ha come obiettivo principale «il rafforzamento dell’immagine della Russia come grande potenza».
Il “Mondo russo” è contraddistinto al vertice da «un sistema politico cleptocratico», dimostra un «carattere politicamente aggressivo» e possiede una «struttura politica sempre più autoritaria» che mira ad eliminare gli avversari. L’autore mette a confronto questa ideologia globalizzante con il Grande Terrore d’epoca staliniana, manovra che non fu «puramente politica ma piuttosto di ingegneria/purificazione sociale tesa a eliminare dalla società socialista sovietica in costruzione tutti gli “elementi socialmente nocivi” […] e a costruire un mondo nuovo. […] Oggi, questa operazione viene ripetuta, in forme ovviamente diverse, ma con l’equivalente aspirazione […] a costruire un nuovo ordine mondiale, purificato dagli elementi che vengono “oggettivamente” ritenuti estranei (gli “agenti stranieri”, i “nazisti ucraini”, l’Occidente collettivo, i nemici della civiltà russa nella sua presunta specificità “cristiana”)».
Il “Mondo russo”, prosegue Dell’Asta, ha conquistato anche l’ambiente ecclesiale ortodosso, dove da iniziale prospettiva missionaria verso i cittadini dei paesi post-sovietici si è trasformato in «manifesta politica di conquista confessionale nazionalista», che ha ridotto la Chiesa «a un attributo secondario della nazione». Non per niente nel titolo si parla di «teologia politica»: la lettura della realtà secondo questa visione infatti «non è più soltanto geopolitica, ma metafisica, nella quale non è in gioco soltanto la Russia come Stato, ma la sua tradizione religiosa o quella che così si presenta nel mondo russo di Putin».
«È in questa ricerca di un assoluto isolazionismo», osserva l’Autore, «nel contesto della lotta contro qualsiasi influenza o “agente” straniero, che va collocata l’idea del “Mondo russo” e va compresa la sua opposizione non solo e non tanto all’Occidente ma a tutta una tradizione che non è solo occidentale, e ha invece rappresentanti e radici assolutamente russe e, più a fondo ancora, cristiane». La vera russofobia, dunque, più che in Occidente andrebbe ricercata nella «teologia politica» di Putin, nell’«autodistruzione che sta realizzando proprio in nome dell’ideologia del “Mondo russo”».
A conferma della sua tesi, Dell’Asta riporta le interessantissime riflessioni di alcuni rappresentanti della cultura russa contemporanea (lo storico Zubov, lo scrittore Šiškin), dei “diversamente pensanti” d’epoca sovietica quali Sacharov, Solženicyn e Grossman, nonché il monito che arriva dai classici della filosofia russa del Novecento come Fedotov e Solov’ëv, i quali ci ricordano che «il nazionalismo esclusivo, pur presente nella storia russa, non va confuso con la Russia in quanto tale e soprattutto ne deforma l’identità stessa».
Così, per instaurare la «pace russa» (che si sovrappone al «mondo russo» anche etimologicamente in quanto mir vale sia “pace” che “mondo” nel senso di “comunità in pace”), è necessario rendere illegittima ogni opposizione mentre «i confini ideati dal governo russo diventeranno la realtà che andrà ripristinata e difesa dalle pretese di quello che nella realtà autentica è invece il governo legittimo di quelle terre», per poterle trasformare «nella colonia che si vuole annettere al nuovo impero: in una dimensione sempre più indefinitamente espansionista, la sostituzione del mondo esistente con il nuovo “mondo russo” non sarà l’esito della guerra, ma il prezzo della pace, ottenuta con la negazione della storia, della cultura e della lingua delle colonie che via via si deciderà di annettere».
Non si tratta solo di una questione riduttivamente geopolitica, in quanto l’ideologia del “Mondo russo” va «al cuore della concezione dell’uomo», e per questo «può essere indicativo il magistero dell’attuale pontefice che, cercando di uscire esattamente dalla logica degli schieramenti geopolitici o ideologici, è ben lungi dall’essere riducibile a una posizione relativista […] o di pura equidistanza tra i vari schieramenti». Illuminante da questo punto di vista – suggerisce lo slavista – è la conversazione tra papa Francesco e i direttori delle riviste culturali europee dei gesuiti, in cui il Pontefice introduce la differenza «tra la discussione (“cosa buona”) e il discernimento (“quel che conta veramente”)» e «il primato dell’esperienza rispetto alle idee astratte», metodo «che dovrebbe dare il tono alle nostre riflessioni circa la sfida che ci viene lanciata da questa guerra».
L’Occidente che si era illuso che con il crollo dell’Urss la storia fosse finita «perché era stata vinta dal sistema politico e, soprattutto, economico occidentale», nota l’autore nelle sue conclusioni, dovrebbe far tesoro sia della posizione del Pontefice, sia del senso di responsabilità che ha permeato tutta la grande stagione del dissenso dell’Est Europa.

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